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sabato, Aprile 26, 2025

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Veleno

Di Flavio Verzola.

Mi sarebbe piaciuto parlare di Benito Lorenzi, detto Veleno. Attaccante interista fino al midollo, quello che nel derby del 6 ottobre 1957 nascose mezzo limone sotto il pallone, sul dischetto del rigore per loro. Tito Cucchiaroni, rigorista del bilan, calciò alto sopra la traversa. L’Inter vinse.

Proprio oggi, un anno dopo, celebriamo una data che rimarrà scolpita nel cuore e nella mente di tutti noi: la seconda stella, in faccia, in casa loro. Una ferita senza rivincita.

È una Pasqua di veleno, il veleno di questo mondo che ha ucciso Francesco, ultimo e irripetibile baluardo contro la follia e le ingiustizie di questo mondo impazzito.

Avrà sicuramente un gesto di stizza sabato, durante il suo funerale, osservando — severo ma giusto — l’enorme ipocrisia dei potenti della terra: mentre fingeranno di pregare, conteranno i soldi per la corsa al riarmo, ignorando i poveri sempre più dimenticati.

Ci mancherai, Francesco. Non perché io sia un fervente cattolico — tutt’altro, ahimè — ma come uomo coraggioso, impavido nelle tue parole, sempre vicino a chi non ha nulla se non una flebile e illusoria speranza.

Questo mondo va nella direzione opposta ai tuoi insegnamenti. E credo che proprio questa consapevolezza abbia affaticato il tuo cuore stanco. Esausto di combattere contro i mulini a vento, contro i potenti dalla doppia faccia e dal cuore di pietra.

Cosa accadrà ora non lo sappiamo. Ma difficilmente troveremo un altro vicario di Cristo altrettanto valoroso. Più facile trovarne uno abile a dimenticare i poveri, a fare l’occhiolino alle sporche esigenze dei pochi. L’ennesimo yesman che stringe mani invece di tirare orecchie.

Perdonate lo sfogo. Ma se il calcio è davvero una metafora della vita, l’Inter è il coraggio di questo guerriero bianco che ha appena deposto le armi.

Siamo inciampati in un terribile ricorso storico. Un incubo che trasforma la via Emilia in una via Crucis. Dopo Parma arriva Bologna, proprio dopo una durissima battaglia mentale con i Lanzichenecchi.

Il calendario non ci guarda con benevolenza. Loro vincono a Monza grazie a un errore madornale dei brianzoli. Noi perdiamo al 94’, vittime di un assurdo incastro di sfortuna e mala gestione.

Partiamo da un arbitraggio indisponente: due gialli scientifici ai nostri diffidati, fischietto attivo solo sulle loro sceneggiate, e silenzioso sulle pressioni illecite. Partita da classico 0-0, botte in mezzo ma poco davanti.

Unico fastidio? Ndoye, che ci crea qualche grattacapo in fascia. Il resto: poco o nulla.

Noi avanti soffriamo. Il Grigliatore già con la testa sulla salsiccia di Pasquetta, Taremi un miraggio, Arna mezzo rotto, Tikus rotto del tutto. Proprio loro sarebbero serviti per spizzare i lanci lunghi, che senza torri diventano bocconi facili per i centrali avversari.

La gara non si sblocca. Serve un episodio. E arriva. A loro favore.

Rimessa laterale battuta almeno dieci metri più avanti, ma va bene così. Clamoroso errore di Bisteccone — l’ennesimo — e la palla arriva perfetta per una semirovesciata acrobatica di Orsolini. Gol. 94esimo. Quattro minuti di recupero. Dimarco a guardare, come contro Kane in coppa.

L’Italia, dopo aver fatto incetta di Maalox mercoledì, riversa il suo veleno. Esultano tutti. Perché l’Inter è diventata il nemico pubblico numero uno. Anche chi combatte altre battaglie trova il tempo di calunniare una società gloriosa e una tifoseria passionale, che nulla ha a che fare con infiltrazioni mafiose, ma che per anni ha subito.

La nostra sconfitta è un sollievo per tutto il mondo anti-Inter.

Ci danno per spacciati. Calendario favorevole a loro. Solita politica dell’accerchiamento.

Ma attenzione a darci per morti troppo presto: l’Inter ha nove vite come i gatti.

Non dire gatto se non ce l’hai nel sacco.

Mercoledì ci attende un’altra durissima prova. Per loro è l’ultima spiaggia. Per noi è la rabbia che ci spinge. Sarà una battaglia. E forse, per loro, era meglio se avessimo vinto a Bologna.

Ora vogliamo solo tornare in campo.

Marcia Avanti.

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