Il percorso verso Juventus - Inter, il racconto di una carriera piena di successi e con qualche rammarico, l'incertezza della Nazionale azzurra alla ricerca di un attaccante vero: questi i punti salienti dell'intervista che abbiamo realizzato in esclusiva a Roberto Boninsegna, bandiera dell'Inter degli anni Settanta, bomber capace di mettere a segno 171 reti in 281 presenze totali in nerazzurro tra il 1969 e il 1976. Un ricco palmarès caratterizzato da tre scudetti, una Coppa Uefa e una Coppa Italia. Due (o forse tre) titoli di capocannoniere in Serie A, Boninsegna è entrato a far parte della Hall of Fame del Cagliari, portando gli isolani ad un passo dal tricolore facendo coppia con Gigi Riva, prima di trascorrere gli anni più belli della carriera con la maglia dell'Inter, conquistando lo scudetto nella stagione 1970-71, e di vivere una seconda giovinezza alla Juventus, quando aveva già superato i 30 anni. A Torino Bonimba, soprannome coniato dal grande Gianni Brera, non sarebbe mai voluto andare. Dovette per forza accettare. Riuscì a vincere ancora e forse più di quanto si sarebbe aspettato. Siamo partiti proprio da qui. Con la maglia dell'Inter ha vissuto i suoi successi più belli, prima di un inaspettato passaggio alla Juventus. Un trasferimento contestato da lei stesso, oltre che da tutto l'ambiente nerazzurro dell'epoca: "Quando mi telefonò il presidente Fraizzoli per comunicarmi che la società aveva deciso di cedermi alla Juve, risposi che a Torino sarebbe dovuto andare lui, ma ai tempi eravamo soggetti ad un vincolo e fui costretto ad accettare. Devo dire che furono tre anni indimenticabili, vincemmo molto, rifiutai il quarto anno per motivi miei". A Milano, oltre allo scudetto 1970-71, fu capace di conquistare due titoli di capocannoniere con la maglia dell'Inter: "In realtà furono tre. Colpa di un'omissione un po' birichina. Mi riferisco allo scudetto conquistato dalla Lazio nel 1974. Io e Chinaglia concludemmo a 24 reti ciascuno, ma la mia ultima rete fu erroneamente considerata un autogol. Anche se non ho fatto alcun ricorso, avrei dovuto vincere io anche quell'anno". Siamo alla vigilia del derby d'Italia. Oltre al prestigio della partita, si tratta di una sfida che vede fronteggiare la prima e la seconda in classifica. Quali sono le sue impressioni? "Partita aperta a qualsiasi risultato. L'Inter sta giocando molto bene, ma la Juve gioca in casa e questo è certamente un vantaggio. Se dovessi fare un pronostico, il cuore dice Inter. Spero quantomeno che i nerazzurri non perdano. Se poi vincono, tanto meglio". A questo punto della stagione, può già essere considerata una partita decisiva per la lotta scudetto? "Sono le due squadre migliori, ma siamo ancora indietro e le occasioni saranno tante, non la ritengo una partita decisiva. Se però l'Inter vincesse a Torino si porterebbe a +5 sulla Juventus, staccando ulteriormente le altre. Vorrebbe dire tirare uno scossone al campionato". C'è un giocatore che rispecchia Boninsegna nell'Inter di oggi? "Da attaccante, pensavo a dare profondità alla squadra e ovviamente è una caratteristica importante anche nel calcio di oggi. Credo che nell'Inter di oggi, nessuno mi somigli veramente, anche se conosco poco i giocatori". Passiamo a parlare di Nazionale: l'Italia di Spalletti ha appena centrato la qualificazione ai prossimi campionati europei, anche se manca un bomber alla Boninsegna: "L'Italia ha rischiato di perdere (contro l'Ucraina, ndr), menomale che non è stato dato quel rigore dubbio, perchè la gara era sostanzialmente finita. Ai miei tempi gli attaccanti erano fin troppi, ma oggi l'Italia è un po' carente nel reparto offensivo. Spalletti dovrebbe recuperare Belotti e Immobile. Gli altri li vedo un po' acerbi". Boninsegna, Lei ha appena compiuto 80 anni. Concludiamo la nostra intervista tirando le somme di una carriera piena di successi con le squadre di club, con un secondo posto ai campionati del mondo del 1970. C'è anche qualche rammarico? "Nei mondiali del 1970, siamo arrivati in finale un po' stanchi, pagando la faticosa semifinale vinta ai supplementari contro la Germania Ovest per 4-3, ma è stato commesso anche qualche errore. Inaspettatamente, il Pallone d'Oro Rivera rimase in panchina per quasi tutta la finale contro il Brasile. Perdemmo 4-1, nonostante ci trovassimo sull'1-1 fino a poco più di 20 minuti dal termine. Mi capita di pensarci spesso, se Rivera in finale avesse giocato di più...".

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