Non tutti hanno avuto la fortuna di vedere giocare uno dei più grandi calciatori del dopoguerra, chi vi scrive invece può dire di aver goduto di questa opportunità, e vuole condividere, con chi ha la bontà di leggerci, le emozioni che un simile spettacolo ha saputo trasmettere. Era l'aprile del 1988 quando il cuore rossonero di un giovane studente presente allo stadio Meazza, trepidava nella speranza che la sua squadra facesse quel golletto che le consentisse di avvicinarsi al Napoli capolista, sotto di due goal a Roma. Mancavano venti minuti e il risultato era inchiodato sullo zero a zero. In panchina c'era un ventiduenne olandese, proveniente dall'Ajax, dove aveva già vinto tre campionati nazionali, tre classifiche cannonieri e una scarpa d'oro, ma in Italia, arrivato l'estate precedente, si era infortunato dopo solo tre partite, rimanendo inattivo per sei mesi. Lo studente di cui vi parlavo rimase perplesso nel vedere alzarsi quel giocatore visibilmente più pallido degli altri che avevano già sulle gambe l'abbronzatura delle prime giornate di sole di primavera, sembrava di assistere all'esordio di un debuttante tra tanti esperti della situazione, invece, fin dai primi movimenti, dai primi tocchi, si capì che tra le maglie dei contendenti era entrata una stella dalla classe purissima. Una doppia finta dal limite dell'area spiazzò tutta la difesa dell'Empoli che si aprì a ventaglio e permise al fuoriclasse dei Paesi Bassi di centrare l'angolo alto alla destra del portiere. Uno a zero. Fu il viatico per il primo scudetto dell'era Sacchi che poche giornate dopo andò a vincere a Napoli. Le stagioni che seguirono furono un susseguirsi di trionfi e di affermazioni personali dell'elegante e nel contempo cinico attaccante rossonero, che malgrado la sua statura disponeva di una rapidità di movimenti e di una destrezza nel dribbling degni di una punta pura. Abile anche nel gioco aereo e in acrobazia era capace di ribaltare da solo le sorti di una partita. Tutti ricordano lo straordinario goal realizzato all'Europeo dell'ottantotto al volo da una posizione estremamente defilata, o la famosa rete di testa in tuffo nella semifinale di andata di coppa dei campioni a Madrid. Chi si scorda la doppietta realizzata nella vittoriosa finale di Champions contro la Steaua Bucarest o le due quaterne segnate nel novembre del novantadue al San Paolo di Napoli in campionato e in Champions League contro il Goteborg. Ma quello che era davvero sorprendente consisteva nella sua capacità di prendere per mano la squadra nei momenti difficili, quando sembrava di sbattere contro il muro difensivo degli avversari e non si trovavano soluzioni; in quelle situazioni sembrava che il fuoriclasse olandese dicesse ai compagni: datemi la palla, ci penso io! Memorabili in tal senso le triplette realizzate nella stagione 1991-1992 con Foggia, Cagliari e Atalanta. Purtroppo la sua carriera è stata penalizzata dalle sue caviglie fragili che lo hanno costretto a quattro interventi chirurgici e soprattutto al ritiro precoce, all'età di soli ventotto anni, anche se l'annuncio ufficiale è avvenuto nell'estate del 1995, dopo quasi due anni di tentativi di recupero dell''integrità fisica. Il giorno dopo il suo ritiro la sensazione di tutti fu la tristezza per aver perso un artista del pallone, un genio del calcio. Maradona stesso disse: "Non ho mai visto un giocatore più elegante di Van Basten. Una macchina da gol che si è rotta quando stava per diventare forse il migliore di tutti".

Udinese-Inter 1-2: quanti punti mancano all'Inter per festeggiare lo scudetto
Intervista a Toldo: "La mia parata più bella? Il gol alla Juventus"