In occasione della presentazione del libro di Gianfelice Facchetti, Marotta ha parlato un po' della figura del capitano nell'Inter moderna e quella passata.  C'è grande attesa per l'arrivo di uno Scudetto storico per la formazione di Simone Inzaghi, che ha saputo non solo meritarsi la seconda stella ma anche fornire delle prestazioni eccellenti in ogni partita. Ci sono stati momenti di sofferenza e momenti difficili nel corso delle diverse gare, ma la mentalità vincente costruita negli ultimi 3-4 anni ha dimostrato che l'Inter si è guadagnata il rispetto di gran parte dell'Europa calcistica tramite il duro lavoro e i risultati. Parte del merito non può che essere attribuito all'attuale allenatore dei nerazzurri, il quale non solo ha portato ad Appiano la bellezza di 5 trofei ma anche ad instaurare un rapporto fondamentale con i giocatori e con la società. Per non parlare della relazione con una piazza che non sempre è riuscita ad apprezzarlo, a difenderlo e ad amarlo, ma la perseveranza e la determinazione di voler incidere un qualcosa di importante nel cuore dei propri tifosi alla fine ha sovrastato ogni parere negativo. Un lavoro magistrale che sta per essere definitivamente coronato dalla seconda stella, ma che ancora non è del tutto finito. È ciò che si raccomanda l'amministratore delegato Giuseppe Marotta, che in occasione della presentazione del libro di Gianfelice Facchetti - intitolato 'Capitani, miti, esempi, bandiere' -  ha espresso la sua opinione riguardo all'arrivo incombente dello Scudetto: "C'è sicuramente grande ottimismo, accompagnato dalla voglia di esplodere di gioia e una adrenalina forte. Tuttavia c'è il rispetto per le altre squadre: per vincere lo Scudetto manca ancora qualche punto e per questo dobbiamo essere concentrati. Dispiace per il Cagliari, sebbene sia chiaro che si salverà ugualmente indipendentemente dal risultato di domenica". Il suo intervento è poi proseguito sull'argomento della fascia da capitano e sul valore che ha assunto nel corso degli anni, richiamando alcune delle leggende nerazzurre e gli interpreti attuali.

Marotta: "Lautaro eccezionale. Dimarco ancora a scuola"

Marotta Dall'Ara intervista Il primo ad essere esaminato non poteva che essere il centravanti argentino Lautaro Martinez, il quale sembra essere più maturo dopo il matrimonio con la sua attuale moglie: "Io credo che dopo il matrimonio sia molto maturato. La fascia gli ha inculcato quelli che sono i valori più tipici del ruolo e ha sottolineato come lui abbia questo grandissimo senso di appartenenza. Nel pre gara, Lautaro è quello che "patisce" di più la forte tensione, ma dietro questa tensione c'è un sentimento di amore verso il ruolo e verso l'Inter. Penso che soltanto questo sia una cosa molto significativa. In questo momento è un esempio, in campo ma anche durante la settimana". Nelle ultime settimane si è parlato anche della possibilità di vedere un prodotto del settore giovanile - peraltro italiano e fortemente tifoso dell'Inter - diventare il nuovo capitano. D'altronde l'amore, la fedeltà ai colori e lo spirito di appartenenza di Federico Dimarco non hanno troppi eguali all'interno dello spogliatoio. Tuttavia secondo Marotta ha ancora molto da imparare prima di poter ambire alla fascia da capitano: "Un capitano italiano proveniente dal settore giovanile? Lunedì a Udine, su 22 giocatori presenti in campo ce n'erano soltanto 3 italiani, ovvero i nostri. È evidente che il calcio di oggi sia molto più globale, il che rende più difficile che ci siano capitani italiani che arrivino dal settore giovanile. Dimarco è sicuramente un giocatore, oltre che un uomo, che personifica tanto la milanesità ed è all'Inter fin da ragazzino. Lui è veramente un ultras da questo punto di vista. Ciononostante per diventare capitano bisogna andare a scuola: è giusto che lui possa arrivare a farlo quando magari Lautaro andrà in pensione, per dire una forzatura. In questa Inter sono in tanti a essere meritevoli della fascia". Infine un piccolo excursus sui capitani storici dell'Inter, a partire dalla stagione 66/67: "Giacinto (Facchetti, ndr.) l'ho ammirato da ragazzino, le prime figurine erano le sue. Andavo a vedere gli allenamenti alla Pinetina negli anni '66/'67, dove in quell'Inter giocavano i vari Picchi, Jair, Mazzola, Suarez, Corso. Dopodiché ho avuto la fortuna di conoscerlo da dirigente, quando lui era presidente dell'Inter e io ero alla Sampdoria. Lì ho avuto modo di confrontarmi: di lui ho apprezzato il suo modo molto rispettoso di porsi nei confronti degli altri. Anche in campo non era uno che parlava molto, ma esprimeva tutto quello che significava essere capitano, dell'Inter e della Nazionale". "Zanetti è un esempio per tutto: come cura i particolari, la sua l'alimentazione, non beve, tutt'ora si allena. Per noi è un elemento che, a mio giudizio, nel costruire le strutture societarie, rappresenta una presenza fondamentale. A mio avviso ogni società deve avere al suo interno un ex campione del club. A inizio stagione, specie quando arrivano i nuovi giocatori, tu puoi anche regalare un libro sulla storia dell'Inter, ma è molto diverso quando un campione ti trasmette qualche concetto importante, qualche esperienza vissuta. Questo senso di appartenenza te lo può dare solo una leggenda del club, uno che ha giocato, uno che sa cosa sono sudore e sofferenza. Il paragone con Nedved? Io ho avuto la fortuna di avere entrambi e sono elementi che fanno un lavoro molto prezioso all'interno del club a livello di emulazione, di quello che trasmettono, che nessun'altro potrebbe fare".
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