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Ex nerazzurri Sforza. E' da poco passato Natale, si va verso la fine dell'anno. Le temperature sono vicine allo zero e con molta probabilità da qualche parte in Italia sta nevicando. E' il 27 dicembre 1997 e nelle sale cinematografiche italiane è appena sbarcato “Tre uomini e una Gamba”, film d'esordio di Aldo, Giovanni e Giacomo, autentici mattatori della storia della comicità italiana. La pellicola è un piccolo capolavoro anche grazie ai riferimenti calcistici portati sullo schermo dai tre comici, grandi sostenitori nerazzurri dichiarati e che nel corso della propria carriera hanno interpretato al meglio l'essere interisti e autoironici allo stesso tempo; uno in particolare è passato alla storia per essere riuscito a promuovere e rendere indimenticabile l'immagine, o meglio, la maglia di una vecchia conoscenza interista.

Sforza Inter

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Per comprendere la natura della scena di "Tre Uomini e una Gamba" dobbiamo fare un passo indietro, nemmeno tanto lungo in termini di tempo: estate 1996, per 6 miliardi delle vecchie lire, Ciriaco Sforza, centrocampista svizzero di chiare origini italiane, viene ingaggiato dall'Inter di Massimo Moratti, alla seconda estate da presidente nerazzurro. Voluto fortemente dall'allenatore Roy Hodgson, Sforza, messosi in mostra con la nazionale svizzera al mondiale americano del 1994 e all'Europeo 1996 proprio in Gran Bretagna sotto la guida del tecnico inglese, si guadagna la chiamata dell'Inter conducendo ottimamente il centrocampo del Bayern Monaco, tanto da definirsi un possibile “Nuovo Matthaus” in fase di presentazione, appellativo che non gli porterà la stessa fortuna come al Pallone d'Oro 1990.

L'avventura di Sforza a Milano parte subito bene, facendo covare ai tifosi una speranza che non vedrà mai la luce. Il centrocampista svizzero va in rete alla prima giornata e risulterà decisivo per espugnare il vecchio Stadio Friuli di Udine. Ma ben presto, il giocatore rossocrociato scoprirà la dura realtà che ha l'immagine di un'altro inglese, questa volta sul campo e nel suo stesso ruolo. La mediana nerazzurra si regge sui muscoli e sulla grinta di Paul Ince, il prediletto del presidente Moratti che guida il centrocampo di Hodgson a suon di tackle, cartellini e anche qualche gol. Sin da subito appare chiaro come la disparità tra i due sia lampante e Sforza dovrà abituarsi a vedere più panchina che campo.

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Sebbene in campionato delle 25 presenze, quasi tutte da titolare, non si hanno testimonianze memorabili, l'apporto del centrocampista elvetico in campo europeo è tutt'altro da scartare. 11 partite e 3 reti, tra cui doppietta agli ottavi di finale col Boavista, oscurate solo dall’atto finale che vedrà l’Inter farsi soffiare la Coppa Uefa dallo Schalke 04, ai calci di rigore, rendendo ancora più amara l’ultima di Sforza in nerazzurro, passata alla storia anche per il litigio tra Hodgson e il futuro capitano Javier Zanetti per una sostituzione non condivisa dall’argentino.

Sforza saluterà nell’estate del 1997 per tornare in Germania, ripercorrendo le tappe della sua carriera, unendosi prima al Kaiserslautern, dove conquista una sorprendente Bundesliga con una squadra appena promossa dalla Zweite Liga, stabilendo un record nella storia del calcio tedesco. Successivamente e poi al Bayern Monaco dove la sua carriera lì subisce un brusco arresto, anche per via di un alterco con un altro ex nerazzurro, Karl Heinz Rumenigge, che lo definì Stinkstiefel, letteralmente “stivale puzzolente”  Tuttavia, riesce a prendersi una rivincita verso Milano: pur restando in panchina, vince la Champions League 2000-2001, con la finale disputata proprio a San Siro, lo stadio dove aveva giocato con l’Inter.

“Quella di Ronaldo era finita”

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E qui, dopo aver salutato Milano e l'Inter per tornare in Germania, perdendo la possibilità di giocare con Ronaldo, personaggio secondario solo nel contesto cinematografico, l'autoironia prende il sopravvento. La permanenza di un solo anno di Sforza all'Inter, fatta più di bassi che di alti, ha fatto sì che venisse relegato al ruolo dell'ordierno “bidone”, il bersaglio preferito dai tifosi quando le cose vanno male e fonte di ispirazione per episodi satirici e di comicità. Proprio qui risiede l'indimenticabile scena dell'ospedale in cui il povero Giacomino è ricoverato per una “bella colica renale”. Lo sfortunato ragazzo, in procinto di attaccare il cappello con la più giovane delle sorelle Cecconi, ha dimenticato il pigiama e l'amico (e cognato) Aldo si offre gentilmente di prestargli il suo. Mentiremmo se dicessimo “Attenzione, possibile spoiler”, perché tutti conoscono il pigiama di Aldo, tutti ricordano nome e numero stampato su quella casacca nerazzurra acquistata alla bancarella e la risposta epica di Aldo alla domanda di Giovanni, “Si però anche tu, ti sembra il caso di dormire con la maglietta di Sforza?”…"Eh, quella di Ronaldo era finita".

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