Friulano di nascita ma milanese d’adozione, Fulvio Collovati è uno di quei calciatori che nella sua vita calcistica ne ha viste e vissute davvero di ogni. L’inizio nelle giovanili del Milan, arrivato in rossonero dopo un anno al Cusano milanino, fucina di talenti al quale arrivò dopo esser stato notato a 13 anni mentre giocava nell’oratorio di Limbiate. L’esordio in prima squadra a 19 anni e la fascia di capitano conquistata quando di anni ne aveva 24. Fulvio era presente nell’anno in cui i rossoneri retrocedettero per la prima volta in Serie B nel 1980, causa illecito sportivo, e decise di seguire la squadra nel campionato cadetto a differenza di altri suoi compagni. Nella seconda retrocessione avvenuta per demeriti sportivi nel 1982, però, le contestazioni subite dalla squadra e il brutto episodio accaduto nella partita contro il Como, segnarono una frattura insanabile tra il giocatore e l’ambiente rossonero. Collovati farà quello che molti tifosi del Milan etichettarono come un atto di grave tradimento, tant’è che la stampa gli affibbiò il soprannome di "ingrato transfuga", trasferendosi da neo campione del mondo sull’altra sponda del Naviglio, vestendo per i successivi 4 anni la maglia dell’Inter. Benvenuto a “Il Nerazzurro”, Fulvio. Come detto nell’introduzione tu nasci, calcisticamente parlando, nelle giovanili del Milan. Cosa puoi raccontarci di quell’inizio? "Iniziai a giocare nel campo dell’oratorio del Limbiate e fui contattato dal Cusano milanino, una fucina di talenti di quel periodo in cui crebbero anche Pierino Prati e Lele Oriali. Feci un anno con loro e a fine stagione mi chiesero se volevo andare al Milan o all’Inter. Siccome da bambino tifavo Milan, scelsi i rossoneri." Al Milan vivi una girandola di emozioni. L’esordio in prima squadra, la retrocessione causa scandalo calcioscommesse, la fascia di capitano e la seconda retrocessione per demeriti sportivi. Non ti sei di certo annoiato in quegli anni… "Beh, quando si esordisce a San Siro a 19 anni e si esce da quel tunnel, le emozioni sono davvero indescrivibili. Purtroppo, però, non sono stati anni belli perché in quegli anni non c’era una proprietà solida e si cambiava presidenza ogni anno. E’ stato un periodo difficile per i giocatori e non si aveva un punto di riferimento. Sicuramente i momenti belli sono stati pochi, anche se poi tutto è servito a farmi maturare." Nella seconda retrocessione una dura contestazione a tutta la squadra e quel brutto episodio in un Como-Milan segnano di fatto la fine della tua esperienza in rossonero. Era chiaro che qualcosa si fosse rotto, ma quello che più fa infuriare i tifosi è il sueccessivo passaggio ai rivali storici dell’Inter. Ci racconti di questa tua scelta di passare in nerazzurro? "Per quanto riguarda l’episodio a Como, io in quel periodo ero il capitano del Milan e probabilmente i tifosi milanisti hanno visto in me colui che volevano in qualche modo utilizzare per lanciare un messaggio negativo nei confronti della squadra. Chiaramente lì qualcosa si è rotto e nel momento in cui andai a dire alla società, che nel frattempo era scesa in B, che avevo intenzione di cambiare aria non fecero grossa resistenza, anzi non vedevano l’ora di vendermi. Il passaggio in nerazzurro, in realtà, fu una casualità. A campionato finito, ebbi un incontro con la Fiorentina ed eravamo sostanzialmente d’accordo sul mio passaggio in viola. Sullo sfondo, in quel periodo, c’era anche la Juventus. Poco prima di partire per il mondiale, però, mi chiamò Mazzola che cercò di convincermi a passare in nerazzurro. Feci presente quelle che erano le mie perplessità, soprattutto dopo esser appena retrocesso in B con i colori rossoneri. Non fu una scelta economica, di fatti all’Inter guadagnai molto meno di quanto potevo fare altrove. Ma non potevo perdere la nazionale e l’Inter era prestigio, era Milano, era la mia città, quindi posso dire che fu più che altro una scelta di vita." La stampa ti affibbia il soprannome di “ingrato transfuga”. Possiamo dire che anche in quegli anni la stampa non ci andava molto leggera con i calciatori? "Il termine usato dalla stampa non mi appartiene, perché nella prima retrocessione del Milan, in cui fui uno dei pochi a restare, ero un nazionale italiano che comunque aveva deciso di non abbandonare “la baracca”. I giornalisti di un tempo, poco tifosi e molto severi nelle critiche, mi hanno dato del traditore anche se poi la pratica di passare da una parte all’altra del Naviglio diventò abbastanza frequente senza fare eccessivo rumore." Infatti, di trasferimenti da una parte all’altra del Naviglio, negli anni, ce ne sono stati diversi, anche con differenti risultati. Come venisti accolto dall’ambiente nerazzurro e cosa ti colpì del mondo Inter? "Venni accolto benissimo dall’ambiente dell’Inter. I primi due anni alla presidenza c’era Fraizzoli e i successivi due Pellegrini. C’era davvero grande serietà in società. Avevamo una squadra ricca di campioni, da Rummenigge ad Hansi Müller, passando per Altobelli. Purtroppo non abbiamo vinto nulla perché probabilmente ci mancò una guida più severa." Facciamo un passo indietro. Il tuo discusso trasferimento avviene nel 1982, all’apice della tua carriera, quando con la nazionale diventi Campione del Mondo. Arrivato all’Inter ritrovi diversi compagni di nazionale che hanno vissuto con te quella fantastica esperienza. Cosa vi siete detti il primo giorno in nerazzurro? "Andai al mondiale da milanista e mi ritrovai al ritorno da interista. Dopo 15 giorni da quel fantastico 11 luglio 1982 mi ritrovai quindi in ritiro a Castel del Piano insieme al blocco nerazzurro che era con me a vivere quell’emozione unica, a mio avviso la più grande che può vivere un calciatore. Si possono vincere tutti i Campionati e tutte le Champions che si vogliono, ma l’emozione di rappresentare l’Italia del mondo non ha paragoni ed è la cosa più bella. Ricordo ad es. le battute di Altobelli che mi diceva sempre che era strano ritrovarmi da compagno dopo averlo marcato per tutta una vita. O ancora l’amicizia nata e cresciuta con Lele Oriali con il quale andavo agli allenamenti ad Appiano. In uno spogliatoio, con il tempo, si diventa fratelli." Il campionato del mondo è sicuramente uno dei risultati sportivi più importanti per un calciatore. Ma veniamo ai giorni nostri. Nell’Inter, l’attuale capitano è anche campione del mondo in carica con l’Argentina. Parliamo di Lautaro Martinez. Con il gol di domenica che è valso il pareggio contro la Juventus sta concludendo un anno solare impressionante, avvicinandosi a grandissimi bomber del calibro di Milito e Vieri. Cosa ne pensi del “Toro”? "L’Inter ha sempre avuto grandi attaccanti. Altobelli, Ronaldo il fenomeno, Milito, Vieri. Lautaro Martinez è il migliore attaccante che c’è in Italia al momento, assieme ad Osimhen. Ha un senso del gol non comune e, ammetto, sarebbe stato difficile marcarlo anche per me, basti vedere il gol che ha fatto domenica sera contro la Juventus in anticipo su Gatti. Se battesse anche i calci di rigore arriverebbe tranquillamente anche a 35/40 gol stagionali. Andava bene con Lukaku e adesso si trova a meraviglia con Thuram che, a differenza del belga, gioca un po’ più per l’argentino tenendolo più caldo sottoporta. Sono convinto che quest’anno ne farà molti di gol." Inter e Juventus si contendono la vetta della classifica, con i nerazzurri che al momento possono vantare 2 punti di vantaggio. Chi ci ha guadagnato di più dal pareggio dell’Allianz Stadium e perché? "La sfida di domenica è stata molto deludente, ma devo dire la verità io avevo pronosticato più Inter che Juventus. Dopo il pareggio ero convinto che l’Inter volesse vincerla la partita ma alla fine si sono accontentati del risultato. Questo nonostante i nerazzurri siano decisamente più forti, basti pensare che i due attaccanti dell’Inter hanno fatto più del doppio dei gol di quelli della Juventus. Analizzando i reparti, tra difesa e centrocampo non credo ci sia storia tra le due compagini. Credo che alla fine dei conti ci abbia guadagnato più la Juve da questo risultato. L’Inter al momento è la più forte di tutte, deve solo evitare di “specchiarsi” come ha fatto con Sassuolo e Bologna, giocando sempre al massimo." Inzaghi ha dovuto fare un passo in più per ribaltare idee ed opinioni sul suo operato, soprattutto dopo il periodo nero dell’inizio della stagione scorsa. Pensi che attualmente abbia acquisito maggiore consapevolezza nei propri mezzi o ritieni che sia il risultato di una crescita degli uomini in campo? "Inzaghi deve vincere lo Scudetto, altrimenti il prossimo anno lascerà l’Inter. La società su questo è stata chiara. Ritengo sia un ottimo allenatore che gioca molto con gli esterni, sfrutta bene le ripartenze, ha una squadra dotata comunque di personalità che tiene molto la palla. E’ una squadra che gioca un ottimo calcio e con l’ingresso in rosa di Thuram ha fatto un ulteriore passo avanti. Allenatore e squadra hanno acquisito maggior consapevolezza nei propri mezzi. Qualche dubbio all’inizio c’era, ma poi le vittorie di Coppa lo hanno rilanciato." Un’Inter che dopo la finale di Champions conquistata la passata stagione è chiamata a una prova di maturità, ovvero la conquista della seconda stella. E per farlo dovrà poter contare su alcuni elementi di spicco nella sua rosa. Qual è il calciatore che più di tutti può fare la differenza e trascinare i suoi compagni verso questo ambito risultato? "I leader secondo me sono due: Lautaro Martinez e Calhanoglu. Il turco che è stato preso dal Milan per fare il trequartista e poi si è abbassato a fare il regista davanti alla difesa. Un giocatore che è cresciuto in maniera davvero esponenziale, diventando leader sotto tutti gli aspetti. Poi chiaramente anche gli altri hanno fatto un percorso di crescita importante." Da opinionista televisivo e grande esperto di calcio giocato, vogliamo chiudere quest’intervista con una domanda “scomoda”. Qual è il tuo pronostico per questa Serie A? Quale saranno le squadre che occuperanno le prime 4 posizioni a fine campionato? "Io dico che se l’Inter restasse umile e compatta possa vincere questo Scudetto. Le altre squadre che metto tra le prime 4 sono Juventus e Napoli (a giocarsi secondo e terzo posto) e poi il Milan. Non credo ci sia posto per le romane."
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Alessandro "Spillo" Altobelli