Quando, sessantasette anni fa, la gente accorse sulla collina di Superga, prima ancora che arrivassero le sirene delle ambulanze, non si sapeva chi ci fosse su quell’apparecchio che era venuto giù, attraverso le nuvole nebbiose e lattiginose di quel mercoledì quattro maggio. Anche poi quando arrivarono i soccorsi, non riuscirono subito a comprendere l’identità dei passeggeri.
L’aereo aveva centrato la massicciata di supporto della Basilica, evitando di distruggerla per pochi metri. L’urto era stato violentissimo, e l’intero vano passeggeri era rimasto compresso in due metri quadri. Emergevano però dai rottami fumanti degli indizi. Un pallone di cuoio, qualche paio di scarpe con i tacchetti, una maglia granata. Poi qualcuno trovò un documento. Era un libretto universitario, con dentro alcune fotografie. Era quello di Valerio Bacigalupo, il portiere del Grande Torino. Il lamento di quell’uomo si diffuse lungo i pendii della collina, per raggiungere tutta Italia e tutto il mondo.
Questa è la storia di quel numero uno, primo nella morte e sul campo. Valerio era ultimo tassello di una lunga stirpe di fratelli calciatori. Un fratello, Manlio, giocherà in Serie A ed affronterà pure il fratello minore. La famiglia era di Vado Ligure, e nella squadra locale tutti i fratelli cominciano a muovere i primi passi sul campo. Il Vado in quegli anni ha una certa importanza, del resto ha da poco messo in bacheca il suo (unico) trofeo: la Coppa Italia, la prima disputata. Valerio rimane lì fino al 1941, poi passa alla Cairese ed al Savona.
Mussolini fa continuare il campionato, finchè possibile, e Valerio gioca in Serie B. Ma con l’arrivo dell’estate del 1943, le cose precipitano. Gli Alleati invadono la Sicilia e poi l’Italia peninsulare, Mussolini viene arrestato e l’Italia sparisce. Soltanto nel gennaio del 1944 prende il via un campionato dalla gestione estremamente complicata. L’idea sarebbe quella di fare due tornei su base regionale con finale nazionale, ma il fatto che l’Italia sia divisa a metà da due eserciti in guerra fra loro complica le cose. In più i raid e bombardamenti colpiscono le ferrovie, rendendo complicatissime le trasferte. E così si opta per più tornei regionali, con semifinali interregionali e finali separate per Nord e Sud.
Il problema però è che i calciatori non sono più difesi, e molti devono andare sotto le armi. Così tante squadre si accordano con le fabbriche per far assumere i calciatori come operai specializzati, in modo che non partano per il fronte. Si attiva così un mercato informale per cui i giocatori vanno dove sanno di potersi salvare. È il caso di Bacigalupo, che viene di fatto prestato dal Savona, che interrompe le attività, al Genoa. I rossoblu giocano nel girone liguro-piemontese. È un girone molto difficile. Infatti ci sono sia la Juventus, accorpata all’azienda automobilistica Cisitalia, ed il Torino. Quel Torino che ha vinto lo scudetto l’anno precedente. Quel Torino ha l’attacco più forte, non solo di quel campionato. Ha Loik e Mazzola, già capitano, Gabetto, Ferraris, Ossola, e come se non bastasse ha assoldato Silvio Piola, miglior marcatore in Serie A di ogni epoca, rimasto bloccato a nord della Linea Gotica cercando di portare in salvo la famiglia a Roma.
Danno, ad eccezione della prima partita, almeno quattro gol a tutti. E nella sfida con il Genoa bucano per sette volte la rete (4 Gabetto, 2 Piola e 1 Ferraris). Ma il punto debole di quella grande squadra è la difesa. Al ritorno con i rossoblu infatti la gara finisce 4 a 4, ed in porta gioca lui, Bacigalupo. La sua prestazione non passa inosservata, tanto che viene convocato pure nella Rappresentativa ligure, e con essa riesce a tenere la porta inviolata contro la Rappresentativa Piemonte (sostanzialmente Torino più qualche giocatore della Juve). A quella partita assiste anche un signore distinto, in giacca e cravatta. E’ Ferruccio Novo, presidente del Torino. Alla fine della guerra tutti i trasferimenti vengono resi nulli, così Bacigalupo torna al Savona. E proprio in sede del Savona arriva un telegramma, e poi un emissario. Il Torino lo vuole. Lui nicchia, non vorrebbe partire ed allontanarsi da casa. E qui è decisivo Manlio, il fratello maggiore, che forse ha compreso quanto i granata possano diventare forti. Così, per 160mila lire, Valerio Bacigalupo approda al Torino. Ovviamente, con il 1945 i problemi non sono finiti. L’Italia, anche se la guerra è finita, è spezzata in due.
Tutti i collegamenti tra Nord e Sud sono interrotti, ed è impossibile organizzare un torneo unico. In più, al Sud tantissime squadre sono sparite. Si creano due tornei gemelli, quello settentrionale con tutte le precedenti retrocessioni annullate, mentre quello meridionale misto tra formazioni di A e di B. La prima giornata al nord mette subito di fronte Juventus e Torino, e Novo convince l’allenatore, Ferrero, a schierare Bacigalupo al posto dell’esperto titolare Bodoira. L’esordio è da incubo, senza contare che per i bianconeri gioca ora Silvio Piola. Risultato finale 2 a 1 per la Juve, con reti di Magni e Piola e gol del momentaneo pareggio di Loik. Ferrero protesta con Novo, che però crede ancora nel 21enne. E da lì in poi, per le restanti 25 gare, il Torino subisce sedici reti, meno di qualsiasi altra squadra nel girone, e si qualifica per la fase finale. In realtà Novo ha puntato proprio a sistemare la fase difensiva nel calciomercato, accantonando tutti gli ormai anziani giocatori della gestione ante guerra e puntando su Ballarin dalla Triestina e facendo tornare Maroso, Rigamonti e Grezar. Gabetto segna 15 reti, Loik e Mazzola 11 a testa. E i granata dominano pure il girone finale, con 11 vittorie in 14 gare. Lo scudetto è suo. Con quattordici reti subite, è la seconda difesa del campionato.
La prima è quella dei cugini, guidata da Lucidio Sentimenti, quarto di cinque fratelli. Sentimenti IV non era molto alto, ma atleticamente surclassava attaccanti e difensori. Soprattutto lo aiutava l’innata capacità di anticipare il gioco, tanto che alle volte, se impossibilitato a giocare tra i pali, veniva schierato a centrocampo. Era un abile rigorista, tanto che spesso era il primo della squadra. In un’occasione, con la maglia del Modena, segnò al fratello maggiore Manlio, che per tutta risposta lo inseguì minacciosamente per il campo. Poco a poco, anche la Nazionale vuole ripartire. E si comincia ad organizzare amichevoli, per permettere al movimento di rinascere. L’allenatore è ancora Vittorio Pozzo, già bicampione del mondo ed amico di Novo, nonché allenatore del Torino per dieci anni. Pozzo segue quindi con passione le evoluzioni dei granata, ed apprezza il loro gioco. Ed ecco che per la prima occasione disponibile, l’11 novembre del 1945, nella sfida con la Svizzera, fa giocare sette giocatori del Torino: Ballarin, Maroso, Mazzola, Grezar, Castigliano, Ferraris e Loik. Ma in porta gioca Sentimenti. E’ un portiere molto più utile al gioco di Pozzo, gioca con i piedi e può alzare la linea di venti metri, per far ripartire l’azione molto più velocemente. Il Torino vince anche il primo scudetto della Serie A normalizzata, il 1946/47. E’ al terzo scudetto, contando anche quello antecedente alla guerra. Vince 28 partite su trentotto, segna 104 reti. Ma la difesa ancora non va del tutto, tanto che Bacigalupo non è sempre sicuro del posto, e si alterna con il suo secondo, Piani.
E Vittorio Pozzo si regola di conseguenza. Per la p
artita con l’Austria schiera cinque giocatori del Toro, per la gara con la Svizzera nove. E l’11 maggio del 1947, nella vittoria contro l’Ungheria, giocano dieci giocatori del Torino. Tutti, tranne Bacigalupo. In realtà dovevano essere due i giocatori della Juve, ma Parola (sì, quello della rovesciata della Panini) aveva giocato il giorno prima la sfida tra Inghilterra e Resto del Mondo, e non era riuscito a tornare in tempo. La stampa si scatena, gigantizzando la rivalità tra i due portieri, in alcuni casi attaccando anche Novo che non si decide a prendere Sentimenti sotto l’altra sponda della Mole. I giornali parlano di rivalità, in alcuni casi anche di due nemici. La realtà, però, è ben diversa. Bacigalupo e Sentimenti IV sono grandi amici. Quando Valerio arriva a Torino, 21enne, è proprio il portiere della Juventus ad aiutarlo, a prenderlo sotto la sua ala protettrice, a consigliarlo anche subito dopo la sconfitta nella prima partita della sua carriera piemontese. Ed i frutti del lavoro si vedono. Per la stagione del 1947/48, Bacigalupo si conquista il posto da titolare.
E’ il giocatore granata con più presenze in stagione, in quaranta presenze subisce trentatre reti, ma la squadra ne segna 125. Si crea il mito del Grande Torino. Ad un certo punto della gara, con magari anche la squadra sotto, Valentino Mazzola lancia il segnale alla squadra. Non appena si arrotola le maniche della maglia granata, si alza dalle tribune uno squillo di tromba, e comincia il quarto d’ora granata, con quattro, cinque, sei o sette gol. E nel dicembre del 1947, per la gara con la Cecoslovacchia, viene convocato Valerio, insieme ad altri sette granata. È la consacrazione. La stampa si scatena nuovamente nell’enfatizzare la rivalità, ma i primi complimenti arrivano proprio da Sentimenti. Dato che per quella stagione si era organizzato un torneo a 21 squadre, per il ripescaggio della Triestina per motivi geopolitici, a turno ogni squadra riposava. Il turno di riposo del Torino arrivò proprio in corrispondenza dell’ultima giornata. E così Novo decise di accettare l’invito della federazione brasiliana, che chiedeva al Toro una tournée per affrontare alcune squadre di prima divisione. I granata partirono per il torneo prima ancora della fine del campionato, ma con già lo scudetto in tasca.
Al loro ritorno, i granata scoprirono che Vittorio Pozzo si era dimesso da ct della nazionale, su pressioni della Federcalcio. Pare che alla base ci fosse proprio un dissidio con Ferruccio Novo, che accusava Pozzo di essere troppo legato al passato e al Metodo, mentre le grandi squadre, Grande Torino compresa, usavano il Sistema. Fino a febbraio non si riuscì a scegliere un nuovo ct, e quando finalmente si arrivò ad un compromesso, si decise che la Nazionale sarebbe stata guidata da un duumvirato, composto dal giornalista Aldo Bardelli e da Ferruccio Novo stesso. Per la stagione 1948/1949, il Torino è pronto a festeggiare il quarto scudetto consecutivo, il quinto senza contare l’interruzione causata dalla guerra. Lievesley, allenatore delle giovanili, viene promosso a tecnico della prima squadra, mentre l’ungherese Erbstein funge ancora da direttore tecnico e consigliere. La principale avversaria del Torino è l’Inter, che arriva a fine aprile a quattro punti di distacco, con lo scontro diretto che termina 0 a 0. Ma praticamente subito dopo la sfida, il Torino deve onorare un impegno preso da capitan Mazzola. In occasione della partita della Nazionale contro il Portogallo, infatti, Mazzola ha promesso al capitano lusitano Ferreira di organizzare una partita per il futuro addio al calcio del portoghese, i cui proventi servano ad alleggerire la pensione del giocatore. Il primo maggio così il Torino raggiunge Lisbona, per sfidare due giorni dopo il Benfica. La partita termina 4-3 per i Portoghesi, ma si tratta più che altro di una grande festa. Bacigalupo, dopo ogni gol, ride con i compagni, e al termine della gara le due squadre vanno a cena insieme. Nessuno poteva immaginare che sarebbe stata l’ultima partita del Grande Torino. Insieme alla squadra titolare viaggiavano anche alcune riserve, tra cui Dino Ballarin, terzo portiere. Suo fratello, Aldo, aveva convinto gli allenatori a portare lui al posto del secondo Gandolfi. A Torino era rimasto anche Tomà, infortunato.
In più erano andati a Lisbona anche Lievesley, Erbstein ed il massaggiatore Cortina, i dirigenti Agnisetta e Civalleri, mentre Novo era rimasto a casa. Al seguito della squadra c’erano anche Casalbore, il fondatore di Tuttosport, Renato Tosatti della Gazzetta del Popolo e Luigi Cavallero della Stampa. L’inviato della stampa avrebbe dovuto essere Vittorio Pozzo, ma dato l’avvicendamento in panchina ed i dissapori con Novo fu preferito sostituirlo. Anche Nicolò Carosio dovette rinunciare a partire, per la cresima del figlio. E la cerimonia gli salvò la vita. La storia del Grande Torino termina qui, a bordo del trimotore Fiat G.212. Il boato distrugge 31 vite, tutte quelle dei passeggeri dell’aereo che si schianta contro il muro della Basilica a 180 chilometri orari. Il pilota, a causa di un malfunzionamento della strumentazione, credeva di trovarsi ad oltre duemila metri di altezza, mentre in realtà i metri erano meno di seicento. Una volta arrivati i soccorsi, la prima cosa che trovano è un libretto, ed una volta aperto ecco apparire una foto, ancora prima del nome. Il libretto è appunto quello di Valerio Bacigalupo, anni 25, ma la foto ritrae Baciga insieme al suo grande amico Sentimenti IV. Portava sempre con se una foto di quello che tutti credevano suo rivale, ma che in realtà era suo idolo, mentore ed amico. Lucidio pianse quando Vittorio Pozzo, chiamato ad identificare i corpi, indicò Valerio Bacigalupo, il numero uno del Grande Torino.
Il numero uno dei numeri uno.
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