26 ottobre 2018: Steven Zhang succede a Erick Thoir e diventa il più giovane presidente della storia dell'Inter. Inizia quel giorno la riscossa del club nerazzurro dopo la deludente gestione dell'imprenditore indonesiano e la fase crepuscolare dell'epoca Massimo Moratti. Il palmarès parla nettamente in favore del giovane manager cinese: un campionato vinto e un secondo in arrivo, due coppe Italia, tre supercoppe, una finale di Europa League e una di Champions. Risultati straordinari - frutto principalmente della saggia decisione di affidarsi al miglior dirigente calcistico italiano, Giuseppe Marotta - ma che non sono riusciti ad allontanare la coltre di diffidenza che aleggia attorno a chi negli ultimi sei anni ha fatto gioire a ripetizione i tifosi nerazzurri.

Futuro incerto

Il futuro dell'Inter al momento è un rebus senza risposte e non è da escludere che Oaktree passi all'azione decidendo di gestire in prima persona la società: l'occasione è quindi propizia per tracciare un bilancio dell'operato di Zhang fin qui, pur non potendo escludere che i rumors di questi giorni si risolvano in un sostanziale nulla di fatto e che il figlio di Zhang Jindong riesca a rimanere al timone della Beneamata. Detto dei trofei conquistati sul campo - un elemento oggettivo e su cui quindi è difficile impostare un dibattito - può risultare interessante analizzare come i media e gli appassionati di calcio si rapportano con una proprietà straniera che ha saputo riportare l'Inter ai vertici del calcio europeo dopo un lungo periodo di vacche magre.

Narrazione distorta

steven zhang inter ritorno milano Ciò che è più evidente è il trattamento speciale riservato a Zhang da parte delle testate giornalistiche italiane, sportive e non: sin dall'insediamento come numero uno del club nerazzurro, il suo operato è stato messo sotto la lente di ingrandimento e da anni sul suo conto circolano accuse più o meno velate di mala gestione finanziaria che vanno ben oltre le vicende poi effettivamente riscontrate dai tribunali. Detto fuori dai denti, la narrazione dominante vuole che Zhang altro non sia che un mezzo truffatore o nella migliore delle ipotesi uno spericolato imprenditore poco avvezzo a pagare i propri debiti.

Un amore mai nato

La verità però è che in Italia, ad oggi, nessuno è in grado di svelare cosa si nasconde davvero dietro la poker face del rampollo originario di Nanchino, vuoi per la difficoltà di reperire informazioni attendibili sul suo conto dalla Cina, vuoi perché la comunicazione di Zhang con i giornalisti italiani è molto vicina allo zero. Questi due elementi hanno portato negli anni a una lunga serie di finti scoop sulle disgrazie della famiglia proprietaria dell'Inter, con tanto di annuncio di date e scadenze che avrebbero dovuto mettere fine alla gestione cinese. Tutto falso, notizie che si sono smentite da sole con il semplice trascorrere delle settimane.

Misteri finanziari

Il fatto che della sua situazione finanziaria si sappia poco o nulla, d'altra parte, non assicura che Zhang non sia un pessimo imprenditore e che possa essersi reso protagonista di chissà quali nefandezze in Asia o in altre parti del mondo. Banalmente, però, non esistono abbastanza elementi per valutare con certezza il suo operato, se non in Italia, dove gestisce un'azienda come l'Inter, i cui bilanci sono pubblici e che non risulta essere certo sull'orlo del fallimento.

Watchdog journalism all'italiana

Ma allora perché Zhang è sempre nel mirino dei commentatori di calcio? Non certo perché questi ultimi hanno deciso improvvisamente di aderire alla dottrina del watchdog journalism, evenienza che pare improbabile considerando lo storico di decenni di scandali pallonari contro cui gli editorialisti si sono scagliati soltanto dopo il terzo grado di giudizio. Senza girarci troppo attorno, Zhang è un bersaglio facile perché non è italiano e nel nostro Paese, Inter a parte, non ha interessi economici: non possiede testate né televisioni, la sua influenza mediatica è pari a zero. Il trattamento che riceve dai media, esattamente come capita ad altri rappresentanti di proprietà straniere, è ben diverso da quello che viene riservato ai colleghi italiani con situazioni patrimoniali poco limpide. Mai si è vista tanta solerzia nel fare le pulci a presidenti nostrani che - loro sì - hanno portato al fallimento società calcistiche, ma che magari erano disponibili a rilasciare spesso interviste o a distribuire qualche notizia di calciomercato di tanto in tanto alle varie testate. Sia chiaro, un sistema mediatico impegnato nel controllare puntualmente i potenti è un plus per qualsiasi Paese, purtroppo però ciò che avviene in Italia è altra cosa: troppo facile attaccare chi non ha interesse a difendersi ed essere garantisti ad oltranza con chi esercita il proprio potere in ambienti economici e finanziari distanti pochi gradi di separazione dalle redazioni.
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