Intervenuto ad un incontro organizzato per Iulm, il vice-presidente Javier Zanetti ha discusso un po' sulla questione di San Siro e sul finale della carriera.  Un tempo leggenda in campo, ora leggenda in società. Quando parli di Javier Zanetti e Inter nella stessa frase la riconoscenza e il rispetto sono le prime sensazioni che balzano all'occhio, oltre che al cuore. Le sue incredibili stagioni con la maglia nerazzurra, la fascia da capitano e i numerosi trofei: il riassunto della carriera di Zanetti si può racchiudere in queste tre semplici parole, che però per i tifosi dell'Inter non saranno mai solo tre semplici parole. Ora il presente da vicepresidente della squadra che tanto ama, con l'obiettivo di incidere al meglio - come quando era in campo - per rendere la realtà e il brand nerazzurro maggiormente competitivo sul mercato europeo e mondiale. Nella sua partecipazione alla lezione per Iulm - Università privata di Milano -, l'ex terzino destro argentino ha espresso la propria opinione riguardo alla questione di San Siro, per poi concludere il proprio intervento sfogliando gli almanacchi e ricordando gli inizi del post-carriera.

Zanetti: "San Siro è pur sempre San Siro, ma ora è necessaria una soluzione"

Javier Zanetti - questione San Siro Lo storico capitano dell'Inter ha voluto sottolineare l'importanza di San Siro, chiedendo però di poter trovare una soluzione: "È la casa del calcio a Milano. È uno stadio imponente. Ha ospitato pagine storiche del calcio mondiale. San Siro sarà sempre San Siro. Futuro? Per prima cosa bisogna arrivare a una soluzione. “Si ristruttura”, “si va fuori da Milano”, “bisogna fare un nuovo stadio”, poi quando dici ok ti mettono mille paletti. Sono ormai cinque anni. Se ci fosse la possibilità economica di ristrutturare, sarebbe una cosa fantastica. In caso contrario bisognerà andare altrove. Milan e Inter hanno bisogno di essere all’avanguardia, di offrire ai propri tifosi altre cose". "Mi vedevo come manager, ma ho dovuto studiare parecchio" - Un appunto sulla strada complicata per diventare un manager di successo, dimenticandosi delle gesta del passato: "Finita la carriera da calciatore, non mi vedevo come allenatore, ma più come manager: però mi dovevo preparare. La cosa più sbagliata che potessi fare era vivere di rendita per quel che avevo fatto in campo". Mi sono detto: "Il calcio giocato è finito, ora si ricomincia da zero. Da oggi sarò valutato per quello che farò, non per quello che ho fatto». Alla prima riunione all’Inter mi sono seduto e parlavano tutti in inglese, in cinese, di questioni complesse. Io sono rimasto un po’ così. Ho fatto l’unica cosa che potessi: mi sono messo a studiare. Ho iniziato un percorso di formazione, per avere una visione più ampia. Quando corri dietro a un pallone fai un lavoro bellissimo, ma hai una visione molto ristretta. Il calcio è molto più vasto, bisogna imparare, soprattutto ascoltare, per far crescere il club in altri ambiti, altrettanto importanti".
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